approssimativamentemeIl fatto di iscriversi ad un social, ad uno qualsiasi, presuppone che ci si esponga ad un bombardamento, talora gradevole talaltra meno, di impressioni altrui che inondano le nostre bacheche, divenute oggi espressione prossima di noi stessi.

Esplodono i moti di insofferenza rivolti agli inviti ai giochi, ad esempio. Chi di noi non ha mai letto filippiche contro all’ennesimo invito a spedire il cibo mancante per il maialino rosa della fattoria in voga al momento? Chi non ha letto poster di invettive, qualche volta anche graficamente ben confezionate, contro chiunque osi invitare qualcun altro al gioco delle caramellone da abbinare e rompere?

Di solito queste cose mi fanno sorridere; penso a quanto sia più semplice cercare una spunta nelle opzioni che non permetta l’invito in massa piuttosto che costruire oratorie ciceroniane contro il malcapitato neofita che non sa, ahimè, che il gioco può impadronirsi follemente del suo account e bombardare chiunque di richieste insistenti.

Quello che invece mi tocca e mi innervosisce molto è la sequela di immagini che propongono sevizie inenarrabili nei confronti di animali o bambini o donne…

Oppure quelle altre che riprendono un bimbo malato di una qualsiasi sindrome ed accompagnano la condivisione con frasi davvero folli (se hai un cuore condividi, so che non mi metterai sulla tua bacheca perché sono così o cosà).

Ebbene, questa roba proprio non mi va e vorrei spendere due parole che servono a me stessa per riposizionarmi e comprendere.

La pubblicazione di immagini violente dove vengono ritratti corpi tumefatti o poveri animali torturati ha questi effetti:

  1. turbare molto le persone sensibili che non farebbero mai cose di questo tipo
  2. creare situazioni emulative

Si sa che la visione di queste tragedie non è efficace per una campagna di consapevolezza che non passa attraverso il terrore o l’orrore. Le campagne volte a fornire la comprensione di quanto accade di terribile ad esseri viventi intorno a noi (uomini e animali) sono quanto di più difficile ci sia da imbastire e promuovere perché raggiungano un risultato soddisfacente.

Inoltre la condivisione estrema e continua di questo tipo di immagini ha addirittura un ruolo “anestetico”, quindi opposto all’obiettivo (ne vedo così tanti che non ci faccio più caso).

Per quanto riguarda il problema dell’emulazione,  Michel Wieviorka, uno dei maggiori sociologi francesi, scrive: “la violenza estrema è nello spirito dei tempi, regna nell’informazione e nei social network. Triste dirlo, ma è così: è onnipresente. E fornisce perfino riferimenti, idee a chi ha una psicologia fragile. La violenza dà un senso all’infelicità di certe persone“.

Per quanto riguarda l’uso di immagini di bimbi affetti da malattie particolari o sindromi più comuni, l’uso della loro immagine per muovere le coscienze è davvero un non-senso.

Se vogliamo sposare una causa o aiutare una determinata categoria di persone possiamo rivolgerci alle molteplici associazioni serie che si occupano di queste, fare una donazione o volontariato. Il “condividi” è un misero modo di salvare coscienze che non si schierano e non fanno che utilizzare l’indice in un clic.

Quindi vi prego, prima di condividere, chiedetevi se davvero pensate sia utile farlo rispetto allo scopo che voi stessi vorreste raggiunto.

Difendiamoci da noi stessi. Dalla banalizzazione del tutto. Preserviamo un pensiero critico e costruttivo.

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