Inizia con l’amarti, innamorati di te…

Frasi o propositi che leggo con una certa frequenza e con le quali non sempre sono d’accordo. Se mi guardo dentro, profondamente e sinceramente, non trovo esclusivamente lati amabili, tutt’altro. Ci sono spigoli duri, pezzi amari che preferirei non avere, che tollero a tratti e a volte detesto.

Nell’invito ad amarmi di più, che talora si tramuta in una spinta all’apprezzamento generale e totalizzante di sé, leggo un rischio alto di estrema condiscendenza e quindi di tendenza a perdonare ogni tratto che invece suggerisco a me stessa di leggere con una maggiore criticità.

Mi piace quindi puntualizzare il significato di questo invito, accettando la mia parte propositiva e perfezionista, che vuole vedere la vita come un cammino di apprendimento improntato non già alla perfezione bensì alla perfettibilità.

Che la perfezione non esista è un dato; che io possa però vederla come una luce in fondo a un cammino di crescita mi fa comprendere che, anche quando non posso raggiungere un “optimum”, per me è importante viverlo come spinta allo stesso; in breve, non sarò perfetta ma so che cosa sia la perfezione e la eleggo a modello pur consapevole che nella mia umanità non la abbraccerò in toto.

Questo pensiero è lo stratagemma che ho trovato per accettare le mie fragilità, che considero umane e quindi inquiline del mio essere, ma dall’altro canto mantenere una visione il più possibile onesta verso me stessa.

Rogers diceva: “tutto ciò che sono  basta se solo riesco ad esserlo”; penso che questo non possa essere letto con gli occhiali limitanti della mera visione di sé come essere perfetto e completo (follia!), ma come individuo con un’infinita dotazione di strumenti che sviluppano la tendenza attualizzante ad essere la versione migliore di ciò che posso essere. 

Se l’invito all’amore significa avere uno sguardo benevolo verso le mie fragilità e debolezze e limiti pensandoli come plasmabili e mutabili, allora si, mi amerò. Ma qualora avvertissi un’acquiescenza ingannevole nel restare immobile ad accarezzare un me impigrito, allora vorrei vedermi come poco amabile ma pur sempre migliorabile ed in cammino.

Errare vuol dire sbagliare ma anche camminare, sentire la cultura dell’errore come un processo di accettazione con mutabili prospettive fa di me ciò che sono, non sempre un amore ma persona intera.

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