A. mi racconta che la sua bambina di 9 anni è morta dopo una lunga malattia. 
Racconta di lei, dei suoi capelli castani che sono caduti con la chemioterapia, racconta degli occhi verdi che negli ultimi mesi non brillavano più.

Parla di come ha dovuto spiegare al fratellino la malattia e della fatica che ogni parola pronunciata le costava.

Arriva a raccontarmi delle ultime giornate di L.

A. è colta, originaria di Napoli anche se non vive da tanti anni in Campania, ha mantenuto quel caldo accento partenopeo ed alcuni modi di dire della sua terra.

“Era di là in camera sua, avevamo chiesto un’assistenza a domicilio… e in casa c’eravamo tutti. Era tranquilla poi ha fatto un sospiro lungo ed è finita”

Non morta, deceduta, volata via… è finita.

Quel verbo ha aperto in me una tale suggestione, una connotazione precisa ma non cruda del termine del suo percorso terreno. Non persa, non divenuta altro da sé, non un angelo. Finita.

Ha concluso qui il suo viaggio, quello che ci è dato comprendere.

Rimando ad A tutta la forza di quel termine e le chiedo se posso scrivere due parole su questo. Annuisce sorridendo un po’. Un sorriso caldo e dolce.

Aggiunge in un sussurro: – Non ci avevo mai pensato alla parola finire, noi a Napoli la usiamo spesso parlando di chi sta morendo o è morto. È vero. Finiscono, non possiamo più tenerli per mano. È proprio questa fine che ci impone di trovare un modo altro di ricominciare; non tanto a vivere proprio di ricominciare ad amarli, in un modo così diverso da prima che ci sembra impossibile da porre in essere. Eppure lo senti che l’amore non smette mai di tessere la sua tela. Grazie –

Grazie a te A.

Le parole sono importanti…

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