È entrata nello studio, ha guardato un po’ le poltroncine e si è seduta.
È una signora gradevole, intorno ai 50 anni; vestita con cura, elegante; ma non è appariscente, estrema. Ha scelto di seguire il tempo, penso. Ha qualche chilo in più, non troppi ma ci sono.
È una bella signora ma non risponde a canoni “moderni” di immagine.
Un po’ come me, penso.

Mi racconta che ad un certo punto della sua vita, da quando è rimasta sola (ha divorziato ed i figli non abitano con lei, uno si è sposato e l’altro lavora all’estero), ha iniziato ad “inseguire”.
Ha usato proprio questo verbo. Inseguire.

Aspetto un po’, credevo che accedesse da sola ad una spiegazione più ampia ed invece tace, si guarda le mani, fa ruotare l’anello che indossa al dito medio della mano destra.

Mi spiega un po’ meglio cosa intende quando dice inseguire?

Appare sorpresa della mia domanda, come se mi dovesse essere chiaro il significato di quella frase.

Osservo: – Quando penso al significato di inseguire, ho l’immagine di qualcosa di dinamico, pressante, forse anche minaccioso.

Sono seguiti incontri di riflessione dove il pieno ed il vuoto sono stati protagonisti; D. ha modo di specificare a se stessa che il pieno di cui parlava era fatto di cose di altri, mente avrebbe voluto averne di sue. Il vuoto agognato era uno spazio di libertà.
Si è resa conto che si era disabituata a desiderare e che lo confondeva con il riempire e a furia di riempire, si sentiva persa.

Era diventata una cacciatrice di cose e di relazioni che rispondevano ad una urgenza di spazio e benessere ma al contempo lo negavano perché invasive e non adeguate ai bisogni.

….

E non siamo forse tutti accomunati nella nostra incapacità di ascolto profondo di noi stessi? Non siamo vincolati alla spinta del fare che ci porta a svuotarci interamente, fino a non sapere più di cosa siamo fatti e di cosa vorremmo essere fatti?


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