Mi si è scaricata la pila dell’orologio, la dovrò cambiare. Una banale seccatura, una tra quelle quotidiane. Il mio bizzarro pensiero vola e mi dice che le cose finiscono e si buttano. Io amo gli oggetti riutilizzabili, meglio se si ricaricano. Le stilografiche, le matite con la mina (quelle che non si temperano). Riesumo vecchie penne dannandomi se non scrivono bene.

Le relazioni finiscono, spesso non si ricaricano, non si riciclano.

Discutendo di valori

Non parlo esclusivamente delle storie d’amore, anche di quelle amicali. Forse queste mi sconcertano maggiormente quando si interrompono, quando una lama scende e recide un legame prima complice e poi di ghiaccio.

Fatico ad accettare il motivo, legata infantilmente alla convinzione che un amico è per sempre e può superare tutto. Un eroe invincibile che tutto perdona e comprende, che si arrabbia magari e ti rimbrotta. Ma non ti lascia.

L’amicizia è un valore. Nella mia scala ha un posto tutto suo, un gradino elevato del podio, ripulito anche dalla tensione del possesso un po’ contaminante e dominatrice di tante storie d’amore.

Un valore.

Chiunque abbia frequentato un corso Gordon ha avuto modo di riflettere sui valori, sulla loro assoluta soggettività, sulla difficoltà ad esprimerli e sul modo di difenderli.

La prima cosa utile è definirli, proprio rispettandone la personalizzazione.

Cosa significa per te, per me. Alla ricerca di una condivisione di significati.

Se penso alle caratteristiche che penso si debbano attribuire al “buon amico”, al “miglior amico” contatto da subito l’impellenza che almeno queste debbano essere la base della costruzione di un rapporto funzionale ma colgo d’altra parte una certa particolare visione non sempre e non facilmente condivisibile e contrattabile.

Ad esempio se mi fosse richiesto un elenco di caratteristiche essenziali del “buon amico” non annoverei tra queste la presenza fisica assidua. Non mi appartiene il concetto di tempo dedicato a scadenza, ho relazioni che si ritrovano a distanza e di cui sono in grado di riprendere il filo in modo naturale.

Non sento altresì l’esigenza della massima condivisione e provo addirittura un senso di fastidio quando sono oggetto di questo tipo di attenzione.

Ma la mia posizione non è il territorio della relazione, si stanzia in un’area che copre il 50 per cento, l’altra metà è patrimonio dell’altro che merita ascolto e rispetto.

Non posso verosimilmente pensare che ognuno stia sulle proprie convinzioni e allo stesso tempo instauri una relazione buona e generativa; il rischio è la sofferenza di chi sente non considerati i propri bisogni e disattese le proprie aspettative.

Restano l’arma della buona comunicazione e sincera attenzione rispetto ai bisogni e ai valori altrui ma anche la consapevolezza di chi siamo, di chi desideriamo avere accanto e con quale distanza.

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