Il concetto di efficacia del rimando è legato in modo assoluto alla contestualizzazione della relazione, ma mantiene alcuni tratti trasversali comuni che possono essere agiti.
Il primo pensiero va al posizionamento, ingrediente base di ogni scambio, risponde alle domande: chi sono? qual è il mio ruolo? qual è il mio obiettivo?
La comunicazione efficace può vivere da sola nella relazione d’aiuto calzando la sua veste professionale (counseling ad esempio), o sposarsi a differenti situazioni, lavorative e non, fondendosi e distinguendosi al contempo, mantenendo confini e potenzialità.
Facendoci aiutare da Mucchielli (Apprendere il counseling, Erickson) che definisce il confronto tra “colloquio di aiuto” ed altri generi di comunicazione, si può contestualizzare l’obiettivo e comprendere l’area e la modalità di azione di un rimando nutriente (feed back).

Mucchielli identifica 7 generi di colloquio-comunicazione che mette a confronto fornendoci così una buona base di riflessione in merito all’efficacia.

  1. CONVERSAZIONE
 Ha come obiettivo la creazione di un clima piuttosto confidenziale; “non vi è nulla oltre l’incontro stesso” in questo caso, dice Mucchielli.
La posizione degli interlocutori è simmetrica (sono alla pari).
Possiamo dire senza timore di essere smentiti che in questo caso ascolto e rimando buoni non possono che rafforzare il clima empatico e di fiducia.
  2. DISCUSSIONE 
Ha come obiettivo il sostenere argomenti, rispondere ad obiezioni. 
All’interno di una discussione possiamo osservare fasi di difesa e di offesa e un’alternanza dominazione-sottomissione.
Gli attori sono emotivamente coinvolti e quindi poco disponibili alla comprensione reciproca.
Durante la discussione essere in grado di padroneggiare alcune abilità, come quella di riconoscere l’intensità e la qualità delle emozioni presenti, alcune tecniche di disinnesco (cambio di marcia), può divenire guadagno.
  3. INTERVISTA (giornalistica) Ha come obiettivo il far parlare l’altro, circa un argomento che sta a cuore all’intervistatore.
La relazione tra gli interlocutori è dislivellata; l’uno cerca di ottenere qualcosa dall’altro.
Anche qui è interessante osservare quanto le tecniche di ascolto e rimando possano essere utili allo scopo. È proprio quando ci si sente ascoltati e compresi che si parla più a lungo e meglio.
  4. INTERROGATORIO 
Ha come obiettivo l’ottenimento di informazioni; può essere scolastico, di polizia, un’inchiesta. 
Il clima emozionale è spesso teso e le domande esercitano una pressione più o meno ostile.
Colui che intervista spesso non è animato da spirito di comprensione. Nell’ottica del perseguire l’obiettivo di ottenere informazioni la padronanza di abilità comunicative è decisamente facilitante. Persino gli investigatori che desiderano ricevere informazioni anche da killers efferati, utilizzano in taluni momenti tratti comunicativi che possano distendere il clima, non far percepire il giudizio, in qualche modo fare arrivare all’altro una sorta di alleanza.
  5. DISCORSO (monopolizzazione della comunicazione). 
Di solito ha due tipi di obiettivi: coscienti e inconsci. I primi sono il tentativo di far ammettere qualcosa all’altro, far cambiare opinione, di dare informazioni a senso unico; i secondi si basano su piacere narcisistico, sulla volontà di potenza, sulla paura di ciò che l’altro potrebbe dire.
La comunicazione in questo caso è nuovamente vittima di una relazione non livellata. Alcune competenze andrebbero a migliorare aree di autoconsapevolezza ed autostima.
  6. CONFESSIONE
 Implica una valutazione morale di ciò che l’altro dice. Il confessore assume una posizione di superiorità; la confessione è patrimonio giuridico o religioso.
Anche qui, seppure ci si muova in ambiti valoriali di difficile gestione, alcune competenze possono essere spese nella direzione consentita dall’obiettivo, oggetto di questa relazione.
  7. COLLOQUIO DIAGNOSTICO
 Ha come obiettivo la restituzione diagnostica ad un paziente. Il clima emozionale è spesso dominato dall’ansia, la relazione medico paziente è piuttosto lontana dall’essere simmetrica, assumendo un assetto di complementarietà.

Gli incontri di counseling non sono ascrivibili a nessuno dei sette precedenti tipi illustrati da Mucchielli, ma le competenze, le skills che il counseling può fornire, possono essere spese trasversalmente, come precedentemente accennato in ognuno di questi ambiti.
Le abilità di ascolto e rimando non prescindono dalla profonda conoscenza del feedback, una delle abilità più lineari e difficili del counseling.
Non è mia intenzione sintetizzare in questo scritto tutta la tecnica, ma di fornire solo qualche ingrediente.
Una delle accuse che spesso si fa al counselor è l’utilizzo, durante la riformulazione, di una tecnica “a pappagallo”, senza dubbio inefficace. Verissimo, non serve restituire l’ovvio! Un feedback efficace si muove sui canali del contenuto e delle emozioni per valorizzare il significato che quell’esperienza ha per chi la racconta. Narrare una storia significa iniziare a possederla, a padroneggiarla e il cliente è padrone del suo vissuto.
Sta a professionista rendere all’altro questo potere restituendo ciò che è arrivato in toto, nell’intensità delle emozioni, nell’esattezza del contenuto, nell’apriporta che permetta l’esplorazione.
Carkhuff delinea questa danza tra helper ed helpee il modo attento e coniuga il coinvolgimento del cliente all’attenzione che il professionista gli riserva, la sua autoesplorazione all’abilità di risposta, la sua capacità di comprendersi alla tecnica di personalizzare, di cucire un abito su misura.
Scopro durante i lavori che mi vedono in qualità di docente che spesso al feed back non viene lasciato lo spazio che merita e neppure il tempo. Un vero peccato! Una carenza strumentale importante.
Sia il corso Gordon che un corso e si basi sul lavoro di Carkhuff, possono essere utili a colmare questa lacuna.

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